Roma Capitale ha affidato al dipartimento DIMA de La Sapienza il compito di progettare gli elettrolizzatori che produrranno l’idrogeno per i bus.
Prosegue la lunga corsa di Atac verso l’elettrico. Dopo l’aggiudicazione della gara per l’attrezzaggio delle rimesse di Portonaccio, Tor Sapienza, Trastevere e Grottarossa con gli impianti di ricarica elettrica, il Dipartimento Mobilità Sostenibile e Trasporti di Roma Capitale ha affidato al Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale de La Sapienza – Università di Roma il compito di progettare l’impianto di produzione e stoccaggio dell’idrogeno per i nuovi bus a combustibili alternativi.
Il progetto dei bus a idrogeno è stato finanziato già nel
2023 all’interno del Piano Operativo di Roma Capitale del Programma Nazionale Metro Plus (PNMetro+) e Città Medie Sud 2021-2027, con fondi dall’Unione
Europea.
Roma ha ricevuto, in particolare, 6 milioni di euro per la
realizzazione di un’infrastruttura (elettrolizzatore) per la produzione,
stoccaggio e erogazione dell’idrogeno per veicoli del trasporto pubblico
locale. La Giunta ha successivamente individuato la rimessa di Acilia quale
luogo idoneo dove procedere con la sperimentazione.
In una prima fase l’impianto consentirà la produzione di 560 kg/giorno di gas utile per alimentare fino a 30 autobus. La potenza installata dell’impianto sarà pari a 1,5 MW, ottenuti mediante fonti rinnovabili. L’acquisto degli autobus avverrà a cura di Roma Capitale con al 19,5 €mln da ricercare nelle pieghe del bilancio. Sarà necessario anche un ulteriore investimento di 2 €mln per adeguare le infrastrutture di manutenzione della rimessa alla tecnologia idrogeno.
Successivamente, se la sperimentazione dovesse avere esito positivo,
l’impianto di produzione di idrogeno dovrà aumentare la propria potenza fino a
5 MW, per una resa di 1.800 kg di gas al giorno e un parco totale di 113 mezzi.
LE DIFFERENZE TRA UN BUS A IDROGENO E UNO ELETTRICO
Sotto un profilo prettamente tecnico un bus a idrogeno è a
tutti gli effetti un autobus elettrico: la differenza non sta, infatti, nella
trazione del veicolo, quanto dalla fonte di energia che viene sfruttata per la
produzione della corrente elettrica.
Nei bus elettrici il “serbatoio” è rappresentato dai pacchi
batterie che vengono caricati o in linea o in deposito a seconda delle esigenze
di produzione del servizio rispetto alla capacità delle batterie stesse. Nella
prima fase i 411 bus elettrici acquistati da Atac saranno caricati in deposito,
ma i mezzi avranno già la predisposizione del pantografo per essere ricaricati
presso i futuri capolinea che saranno attrezzati con le piazzole di ricarica. Comunque
sia, per i bus elettrici a batteria la produzione dell’energia avviene presso
le centrali elettriche.
Per quanto riguarda i bus a idrogeno, invece, la produzione dell’energia elettrica avviene a bordo della vettura stessa. Dall’impianto elettrolizzatore l’acqua viene scissa nelle sue componenti base, idrogeno e ossigeno: tale processo è detto elettrolisi. L’ossigeno viene rilasciano nell’aria mentre l’idrogeno viene stoccato in appositi silos a tenuta stagna. Successivamente, dai silos i bus “fanno il pieno” delle bombole di idrogeno.
Per mettere in moto il bus, l’idrogeno viene incanalato verso delle celle, dove reagisce con l’ossigeno contenuto nell’aria nel processo di elettrolisi inversa, producendo energia elettrica e vapore acqueo. L’energia elettrica alimenta, perciò, il motore mentre l’unico prodotto di scarto è qualche grammo di acqua.
Rispetto ai tradizionali bus elettrici che sono equipaggiati
con batterie piuttosto pesanti, i mezzi a idrogeno sono dotati solo di
supercapacitori di modeste dimensioni e peso, in quanto è il bus stesso a
produrre l’energia elettrica di cui ha bisogno. Si ha pertanto il vantaggio di
mezzi più leggeri e performanti, senza necessità di installare grandi potenze
elettriche nel deposito.
Di contro i processi di elettrolisi e elettrolisi inversa,
necessari rispettivamente per la produzione dell’idrogeno in deposito e di
energia elettrica a bordo del bus, avvengono attualmente grazie a celle specificatamente
progettate, dal costo estremamente elevato (sono richiesti per la costruzione
delle celle di elettrolisi materiali molto rari come il platino) che, pertanto,
sono difficilmente reperibili sul mercato ad un prezzo accessibile.
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