Azienda in concordato che rischia di fallire, condizioni di lavoro pietose e vertici sempre più distanti dagli autisti e dagli operai. Per ultimo la presa in giro dell' X Factor Aziendale. 250 autisti hanno presentato le dimissioni dopo appena due mesi di lavoro. Questa la lettera di un autista Atac
Egr Direttore Generale,
Colgo l’occasione per farle gli auguri di Natale, anche se siamo in largo anticipo.
Mi presento, sono Andrea Lucchetti, per quattordici anni in servizio sul gommato, ho girato tre rimesse, e in quel periodo di tempo ho fatto una quarantina di giorni di malattia. Poi la vita riserva sempre sorprese, e in un’ideale angolo ho trovato qualcosa che per altre persone il destino infame magari gli annuncia che sono arrivati al capolinea.
Io sono stato più fortunato, almeno cosi mi sussurra il presente, e a proposito di fortuna , il fatto di essere un dipendente Atac mi ha consentito con le vecchie normative ed accordi nazionali, di curarmi a casa prendendo puntualmente lo stipendio.
Nel corso della mia assenza, quando ho lottato per essere vivo e per tornare a lavorare, sissignore per tornare a lavorare, perché prima di tutto non ho mai sputato sul piatto dove ho mangiato e dove lo faccio tuttora, ho avuto il tempo di riflettere e pensare che ogni lavoratore che trova sul suo percorso di vita un momento di durissima difficoltà deve essere sempre aiutato per non mortificarlo ulteriormente come la sua condizione già di per se lo condanna.
Tornare al lavoro per me è stato tornare alla vita normale, incontrare di nuovo i colleghi, guadagnarmi lo stipendio. Eppure mi avevano offerto un posto comodo comodo, doveva solo aspettare il ventisette del mese per incassare lo stipendio, quello doveva essere il mio massimo sforzo. Ho rifiutato perché volevo essere trattato come una persona normale, non come un appestato che non sapevano dove infilarmi.
Questa presentazione era doverosa, perché il luogo comune che ci accompagna come dipendenti ogni giorno, che ci infiliamo la divisa, che raggiungiamo il nostro posto di lavoro, è uno sguardo di ogni persona, di ogni utente di odio percepito, tangibile. Tempo fa, quando ancora guidavo, una sera un collega sulla riservata che ci portava a casa si sfilò la camicia aziendale.
Io domandai curioso perché. Lui con assoluta normalità mi disse che si vergognava di portare la camicia, e che andava al pub con gli amici. In quel preciso momento mi venne una rabbia che però era mortificata, un dispiacere, un sentimento di avversione verso quel pensiero che purtroppo è diffuso in tutto il personale aziendale. Ecco a quale punto siamo arrivati.
Non bastano le innumerevoli aggressioni che subiamo, gli insulti, sputi e tutto la rabbia che la società sfoga nei nostri confronti come se dovessimo sentirci responsabili dello sfacelo di Atac.
Da anni siamo consapevoli che chi dovrebbe portare il nostro grido soffre di una misteriosa otite, non riescono ad ascoltare con attenzione, ma cosa ti vuoi aspettare da gente che ha come obiettivo togliersi dalla strada il prima possibile per vivere una vita decente. Siamo uomini di mondo, sa com’è.
E allora mi sono spesso domandato se tutti voi, lei compreso, avete una vaga idea di che cosa vuol dire guidare un autobus a Roma nelle condizioni in cui Atac ci ha portato.
Cosa vuol dire avere una vettura indegna e distrutta, essere velatamente minacciati perché magari quella vettura non dovrebbe fare servizio, ma DEVE uscire.
Guidare sulle delle strade che sono delle fogne, non avere mai la sicurezza dei giorni di ferie. Magari se rendessimo giustizia a chi per anni ha fatto uscire un parco vetture che la stessa Agenzia della mobilità ha dichiarato vetusto potreste almeno accorciare quella distanza che inspiegabilmente continuate a mantenere.
E poi, non avere a disposizione un bagno, che forse non capisce quanto è importante avere un posto dignitoso e salubre dove un operatore donna o uomo che sia, possa liberarsi magari dopo una corsa lunghissima.
Se lei ritiene che i bagni chimici sono un ottimo sostituto forse non ci è mai stato, e non ha potuto mai sentire l’odore di fogna, che con il caldo estivo aumenta. Questa è solo una piccolissima parte del disagio strutturato, per giunta organizzato, nel quale migliaia di lavoratori vivono quotidianamente la loro dimensione. E di sacrifici le posso assicurare ne abbiamo fatti, sperando un domani di lavorare con dignità e di avere uno stipendio adeguato alla vita infame che subiamo.
E invece il mantra ripetuto ciclicamente era accordo dopo accordo, nei quali erano scritte rinunce dopo rinunce, per salvare il salvabile, un filo lunghissimo di cui non si vedrà mai la fine.
E infatti sono stati solo voli pindarici, ne siamo coscienti, siamo passati da un Amministratore Delegato che ci chiamava colleghi, con un sensazione di presa in giro, a un percezione di distacco da parte della dirigenza, una sorta di azienda a più livelli, nei quali ognuno vive una sua realtà senza avere una chiara e precisa dimensione.
Chi vive la strada, il nostro principale posto di lavoro non sente nessuna vicinanza dal corpo dirigenziale, forse addirittura percepisce avversione. Ed è scritto in modo chiaro in tutti gli accordi che la parte front line deve essere spremuta per rendere credibili innumerevoli piani industriali scritti e non scritti ma impliciti al servizio, che non ci hanno mai portato da nessuna parte, forse l’unica destinazione era stato sempre il baratro.
Come le ho già detto, non guido più, però se potessi la inviterei su una qualsiasi linea, e dovrebbe fare tutto quello che fa un’autista, fino ad andare a fare i suoi bisogni nelle latrine aziendali. Ma perché le ho scritto tutto questo? Proprio ieri è girato il video sul casting aziendale di Natale, e l’ho trovato di una totale mancanza di rispetto, di mancanza di senso della realtà, di rifiuto dell’ascoltare chi ogni giorno subisce ogni sorta di avversione che già le ho elencato.
È il segno visibile che viviamo realtà diverse, che non c’è nessun contatto tra gli ideali piani aziendali. Un’azienda che sta ancora in tribunale spende soldi pubblici per fare un casting ridicolo è l’ennesimo schiaffo a decine di madri, padri, famiglie che con Atac ci vivono, ma vorrebbero farlo con dignità.
Abbiamo da tempo perso la speranza, e volevo assicurarvi a tutti voi che sedete ai piani alti che anche noi passiamo all’incasso senza dedicare un solo minuto di più, anche noi aspettiamo la data dello stipendio, dobbiamo solo stringere i denti ma a quello siamo abituati. L’unica differenza che non potremo cambiare è l’assoluto mancanza di rispetto nei nostri confronti.
Non sapevamo però, che assieme alla distruzione di un grande famiglia chiamata Atac, consegnarci alla storia e alla società come il problema di anni di malissima gestione è stato sempre il primo punto.
E infine a quella manina che ha scritto una giustificazione rivolgendosi con la solita apertura care colleghe e cari colleghi ( eppure non sembra ) parla di famiglia, un’occasione sociale dove ritrovarci, per regalare sorrisi, per ritrovare senso di appartenenza, vorrei rispondergli, ma siccome non è stato neanche firmata non so di quale famiglia parla uno che rimarrà sconosciuto.
Chissà se la manina ha avuto dispiacere quando il collega del 654 è stato pestato a sangue perché non poteva passare. Chissà cosa pensa che su 250 autisti a contratto, circa una cinquantina hanno presentato le dimissioni dopo appena due mesi, addirittura qualcuno ha lasciato la vettura in strada.
Nell’Atac di vent’anni fa, quella gloriosa s’intende, nessuno si sarebbe volontariamente licenziato, perché quel senso di appartenenza era presente e orgogliosamente indossato con quella divisa che oggi, purtroppo, a fine turno la si sfila perché ci si vergogna.
E dalla vergogna all’indignazione il passo è breve, perché se davvero si vuole ricostruire dalla macerie si deve scendere in quel piano che è, e sarà il contatto diretto con quella società che mi creda non cambierà opinione se gli cantiamo una canzoncina di Natale.
Io, ovvio, non sono nessuno, sarà poco, ma l’educazione della mia famiglia, il percorso della mia vita, e infine la mia gravissima malattia non mi hanno cambiato, e combatto per rimanere una persona dignitosa, con la divisa. Anche se finita la festa tutto rimarrà come prima. Per quel poco.
Buon lavoro
Andrea Lucchetti
Da Non è la Radio
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