L’inaugurazione del nuovo sottopasso è stata salutata come
una rivoluzione per l’Urbe: ecco perché non sarà così.
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Alla fine il 23 dicembre è stata inaugurata la nuova piazza
Pia. L’area pedonale di 7mila metri quadrati sorge dove passava la strada, il
cui sottopasso è stato allungato di 130 metri fino al limite delle mura di
Castel S. Angelo.
Un’opera che è stata frutto di uno sforzo durato quasi due
anni, dall’agosto del 2023 fino al 23 dicembre scorso per un investimento
complessivo 85,3 milioni di euro curato da Anas. Un simbolo anche di “rivincita”
rispetto al Giubileo del 2000, che già 25 anni fa aveva previsto il tunnel poi non realizzatosi in quell’occasione. Una vittoria “morale”
anche nei confronti della burocrazia e dell’archeologia di Roma, vista
purtroppo spesso come un ostacolo nella realizzazione di nuove opere, che però questa volta
ha avuto interferenze pressocché nulle nonostante il maxi ritrovamento della
lavanderia di epoca romana.
Insomma, una realizzazione quasi alla stregua del nuovo ponte
Morandi a Genova, simbolo di un’Italia in grado di fare.
L’evento è stato salutato da tutti i rappresentanti
istituzionali e dallo stesso Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha espresso
soddisfazione per il lavoro compiuto in un’insolita collaborazione politica tra
destra e sinistra di governo, rispettivamente alla Nazione e al Comune.
Tuttavia da qui a definire questa come una grande opera
per la mobilità della Capitale ce ne passa.
Di fatto ciò che ha realizzato il prolungamento del
sottopasso di piazza Pia non è stato altro che lo spostamento del traffico
privato da sopra a sottoterra, destinando le nuove aree superficiali alla
pedonalità. Un effetto certamente positivo, che tuttavia nulla ha spostato in termini
di shift modali dall’automobile privata al trasporto pubblico o altre forme di
mobilità. A nulla o quasi valgono in tal senso le nuove preferenziali in via
Traspontina e via di Porta Castello realizzate con una semplice striscia
gialla, come da consolidata tradizione nostrana.
Si torna, dunque, a quell’insopportabile doppiopesismo tra strade e trasporto pubblico, per il quale l’unica opera ammessa da 20 anni a
questa parte è la linea C della metropolitana, accettata solo per il fatto di
non togliere spazio alle carreggiate stradali.
Guai a minare lo status quo delle automobili: basti pensare
che lo sviluppo delle corsie preferenziali è fermo da 20 anni, così come quello
della rete tram. Tramvie che sono osteggiate peggio del veleno, tra enti e
giornali che concorrono attivamente a piegare qualsiasi tentativo di cambio del
paradigma in città.
In questo senso il sottopasso di piazza Pia è stato ben voluto perché non ha fatto altro che replicare la logica malata della mobilità della nostra città: ben vengano le “isole felici”, purché non si tocchino le corsie per le automobili.
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