La fermata della metro A di Roma, chiusa per quasi un anno, ha riaperto solo in uscita: l'ennesimo nonsense di una città che lascia i cittadini in balia della sua incompetenza, al grido rassegnato di “tocca organizzasse”
I numeri, certe volte, dicono tutto: 319 giorni. La stazione Barberini della linea A della metropolitana di Roma, nel cuore della città a due passi da via Veneto, nella stessa piazza Barberini che le dà il nome, di fronte al cinema pure quello omonimo e all’inizio di via del Tritone da cui si arriva a via del Corso, insomma uno stop strategico, è rimasta chiusa per quasi un anno.
Delle sei scale mobili che danno accesso ai binari – sì, c’è bisogno di ripeterlo ogni volta: a Roma molte fermate non dispongono di scale tradizionali, per questo vanno serrate quando quelle automatiche si rompono – due sono ancora fuori uso. Gli accessi aperti sono dunque solo un paio: proprio quelli di fronte al cinema, dove gli operatori dell’Atac bloccano gli utenti che desidererebbero scendere.
Transennati gli altri due accessi, da via Veneto e all’angolo con via di San Basilio. Se ti serve la metro, per ora non ti rimane che una bella passeggiata fino alla riesumata Repubblica o a piazza di Spagna. Animo!
Mentre in consiglio comunale le opposizioni di centrosinistra chiedono indennizzi, o almeno detrazioni, per i commercianti della zona (ma anche per quelli di piazza della Repubblica, per cui una mozione in questo senso è stata approvata lo scorso maggio ma finora neanche una foglia si è mossa) c’è da chiedersi chi possa mai indennizzare i cittadini (soprattutto) e i turisti che tanto spendono in città e chiunque visiti o frequenti la capitale per qualsiasi ragione.
Se le restasse un po’ di dignità, l’amministrazione obbligherebbe la sua controllata a rimborsare almeno gli abbonamenti annuali come gesto di rispetto nei confronti di un tessuto sociale maltrattato, delle infinite epopee quotidiane, dell’apparente menefreghismo che caratterizza i vertici della municipalizzata, coinvolta d’altronde anche dalle indagini seguite proprio al sequestro di Barberini.
La stazione Cornelia è chiusa dal 30 dicembre e non si sa quando riaprirà. Quasi un impianto su dieci su tutta la rete metro e ferroviaria (non solo scale, anche montascale e ascensori) è fuori servizio. Senza entrare nel merito dell’efficienza, della puntualità e della pulizia, ovviamente.
Ignorano cioè cosa li aspetti per le ore successive fra scioperi rinviati all’ultimo, astensioni bianche da lavoro (si veda quel che è successo sulla sgangherata ferrovia Termini-Centocelle proprio martedì, una linea mutilata dove i convogli hanno in media 54 anni con punte di 80, bloccata per “indisponibilità di personale”), incendi e incidenti.
Sembra paradossale da dire, e forse esagerato per chi legge ogni giorno da fuori le notizie sulla capitale, ma l’utente intensivo dei trasporti pubblici romani non sa nulla sul suo futuro immediato: se potrà rispettare gli orari della giornata, onorare gli appuntamenti, tornare in tempo a casa per passare qualche momento con la sua famiglia o nelle sue attività preferite. Di fatto, è ostaggio di un sistema devastato e sfinito, che così com’è non può dare più di questo 4 in pagella.
Non è solo il tema dell’efficienza (Atac ha perso 15,4 milioni i chilometri percorsi rispetto ai 101 previsti dal contratto) e del decoro per quanto riguarda Ama ma anche da 25 anni di espansione selvaggia della città in nuove centralità urbane senza servizi e senz’anima. Non è retorica: è la realtà di vivere in una città come Roma in cui il mantra, per qualsiasi impegno da mettere in programma, è un rassegnato tocca organizzasse.
Da Wired
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