La grande bellezza di Roma uccisa da una politica che non sogna

La grande bellezza di Roma uccisa da una politica che non sogna


In breve la città che è il cuore del paese avrà i trasporti paralizzati. È colpa di Gualtieri? È colpa della Raggi? Certamente. Ma la responsabilità va cercata anche altrove

Partiamo da qui, partiamo da Roma. La Capitale. L’esempio di una grande bellezza sopravvissuta ai secoli che non sa più autorigenerarsi perché chi la dovrebbe governare ha dimenticato che la buona politica è soprattutto visione e costruzione del futuro.

Partiamo coi treni. Il primo è stato messo fuori circolazione ieri. Gli altri 12 che ogni giorno calcano i binari della metro C sono destinati a fare la stessa fine. 

Da qui in avanti Atac avrà a disposizione un convoglio in meno ogni 30 giorni. Fino allo stop del servizio. 

Così hanno sentenziato gli ispettori dell’Ustif, l’ufficio che per conto dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali si occupa anche dei controlli sulle metropolitane di Roma.

Il che significa che in breve la città che è il cuore del paese avrà i trasporti paralizzati. È colpa di Gualtieri? È colpa della Raggi? Certamente. 

Ma la responsabilità va cercata anche altrove, va cercata in settant’anni di politica sterile che non ha saputo fare di Roma una grande capitale europea. 

La sfida di una buona politica è tutta qui: nella pazzia e pazienza necessarie per ogni azione che guardi a un obiettivo alto, simbolico, alla crescita di una città attraverso la costruzione faticosa, quotidiana, rischiosa del futuro. 

All’epopea, al continuo gettare le fondamenta. Perché senza fondamenta, senza cattedrali, senza simboli collettivi, senza luoghi pubblici, la politica semplicemente non esiste. È routine, amministrazione, gestione del quotidiano. È, anche e purtroppo, schiavitù del presente.

E l’esempio dei treni di Roma è proprio evidenza di questa carenza decennale. 

E l’incapacità di risolvere un problema atavico, che è solo un esempio di tanti miliardi di problemi atavici irrisolti del nostro Paese, è lo specchio di un paradosso tutto italiano: quello in cui la politica ha rinunciato a se stessa, al decisionismo che dovrebbe portare nel proprio dna. 

Il caso Atac è solo uno dei tanti esempi del tafazzismo militante di una classe politica ridicola che pretende, altro paradosso, di governare senza esserne capace uno stato che bacchetta se stesso perché non in grado di fare le cose.

da Huffington Post

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