Atac, sul referendum la Raggi rischia di fare la fine di Renzi


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Scontro tra promotori e Campidoglio sulla data. Ecco cosa potrebbe accadere se la sindaca dovesse personalizzare la lotta contro il referendum radicale




(radiocolonna) Il 3 giugno i romani saranno chiamati a esprimersi sul referendum che riguarda Atac e che chiede all’amministrazione di mettere a gara il servizio pubblico di trasporti. Un referendum consultivo, con il quorum fissato al 30%, che potrebbe catalizzare tutto il malumore dei romani nei confronti della municipalizzata e che vede uno scontro senza esclusione di colpi tra i promotori e l’amministrazione capitolina. L’ultimo riguarda la data della consultazione. Il Campidoglio sostiene di non averlo accorpato all’election day del 4 marzo perché il Regolamento degli istituti di partecipazione di Roma Capitale, rispetto alle politiche, “stabilisce chiaramente la non sovrapposizione delle date in caso di operazioni di voto”.

I Radicali Italiani di Riccardo Magi, promotori dell’iniziativa, sostengono che no, l’articolo 12 del regolamento comunale non prevede alcuna esplicita incompatibilità e quelle del Comune sono solo scuse per boicottare l’appuntamento.

Ma i radicali potrebbero trovare, paradossalmente, un alleato imprevisto proprio nella sindaca di Roma. Sergio Rizzo su Repubblica parla di ‘referendum-boomerang’ riferendosi al tradimento dei principi di quella democrazia diretta più volte usata dal M5S come bandiera politica. Un voltafaccia dei grillini, a suo dire, ci sarebbe stato anche nella lotta agli sprechi di denaro pubblico: è tra i 10 e i 15 milioni la cifra stimata per l’indizione extra-data del referendum.


L’effetto boomerang in realtà potrebbe concretizzarsi se Virginia Raggi inizierà a esporsi in prima persona sul referendum di Atac. Quando un politico di prim’ordine, non particolarmente con il vento in poppa nei consensi, si espone su un grande tema pubblico rischia di smuovere acque apparentemente quiete e innocue. Un esempio ci arriva dall’esperienza del referendum costituzionale di fine 2016 voluto da Matteo Renzi, una sfida tutta in discesa resa fallimentare proprio dal protagonismo del leader PD che ha personalizzato la battaglia e ha fatto coalizzare tutti i propri avversari contro di sé. È come se il segretario dem, usando una metafora calcistica, avesse reso un Juventus-Viterbese un Juventus-Barcellona. Personalizzare gli appuntamenti elettorali complica la vita, spesso la rende impossibile e valorizza il detto secondo il quale il nemico di un mio nemico è un mio amico.

Se nei prossimi mesi Virginia Raggi dovesse entrare a gamba tesa sulla sfida referendaria e dare l’impressione di volerla boicottare con giochini regolamentari tipici di un vecchio modo di fare politica, potrebbe rivitalizzare i suoi avversari e farli sostenere da chi, fino a oggi, li guarda con diffidenza. Difficile che in questa categoria siano inclusi gli avversari della Bolkestein, i sindacati e tutte quelle categorie cittadine particolarmente affezionate allo status quo e terrorizzate dalla concorrenza. Ma è probabile che in questo calderone ci finisca un movimento d’opinione diffuso e trasversale, ostile alla sindaca, che finisca per apprezzare una sfida elettorale complessa che potrebbe essere rinvigorita proprio dalla sua principale avversaria.
  

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